Gli eventi di presentazione di nuovi modelli, nuovi allestimenti, nuove iniziative commerciali sono un grande classico nella vita dei giornalisti automotive (tesserati e non). Roba di lavoro, eh, ma anche momenti di socializzazione che sono il palcoscenico perfetto per sfoggiare conoscenze, competenze e brillantezza. Le cene di gruppo diventano quindi l’occasione perfetta per sfoggiare tutto il proprio repertorio conversazionale fatto di auto di grossa cilindrata, contrattempi ai limiti della legalità e battute di bassa lega.

Molto maschilista, molto machista.

L’ambiente automotive è talmente intriso di sessismo che ormai non si pone più neppure il problema di fingere di non esserlo. Lo scorso 8 marzo è stato la consueta Giornata Internazionale della Donna: quasi tutte le testate – online e non – si sono astenute anche solo dal pubblicare gli articoli cliché “Le donne dell’automotive”. Giusto Repubblica, fra le grandi testate, e FleetMagazine fra quelle più settoriali. Motor1 invece ha dirottato le sue risorse editoriali su un articolo dedicato alle “influencer più popolari in Italia”, che ha la stessa funzione delle donne lesbiche nei film porno etero: titillare l’attenzione maschile. E c’erano pure giusto tre nomi in croce. Deprimente.

Donna, stai al tuo posto (di passeggero)

La verità è che non c’è poi granché da raccontare. Le figure apicali di sesso femminile nel panorama automobilistico internazionale sono talmente sparute da potersi contare sulle dita di una mano.

C’è Mary Barra, che dal 2014 – anno dell’insediamento come CEO di General Motors – a oggi è diventata una fra le donne più ricche e influenti secondo Forbes, Fortune e Time (leggetevi la sua bio su Wikipedia, a proposito). Ci sono la cinese Wang Fengyin (CEO di Great Wall) e la vietnamita Le Thi Tun Thuy (CEO di VinFast), di cui è difficile anche trovare foto di dimensioni decenti e il composit fotografico di apertura lo dimostra.

C’è Linda Jackson, per quasi una decade a capo di Citroën (fino al 2021) e ora CEO di Peugeot dal gennaio 2021, dopo essere rimasta parcheggiata per un anno. C’è Béatrice Foucher, CEO di DS Automobiles (povera, sarà un lavoraccio). C’è Stefanie Wurst, recentissima Head of Mini a partire dallo scorso febbraio 2022. Volendo potremmo metterci anche Anna Gallagher, Brand Director di Jaguar, ma date un’occhiata al Board di JLR e mettetevi paura: persino l’unica donna, Hanne Sørensen, è rappresentata con un linguaggio visivo maschile.

In Italia la situazione è pure peggiore, con nessuna – nessuna – figura femminile in posizioni di rilievo, se non come responsabile della comunicazione (ma sono sempre meno, e sempre più di nicchia). Abbiamo Maria Conti a capo della Comunicazione globale di Maserati (e vorrei vedere, ha una carrierona alle spalle), Federica Bennato regina della comunicazione di Volkswagen Group Italia e – se la memoria non mi fa gioco – niente altro. Forse qualche sparuta figura di marketing?

Non c’è nulla che giustifichi una situazione del genere. Non è che queste figure manageriali mettano bocca nelle questioni meccaniche di un’auto fra una riunione e l’altra. Sono uomini di numeri – see what I did here? – mica titolari di un’officina.

Si dice però che “per fare bene nel mondo dell’automotive si debba essere appassionati di auto, stop”. E per carità, da un certo punto di vista lo credo anche io per quanto mi suoni strano che solo gli uomini siano appassionati di auto. Ma la verità è che questa storia è usata per mantenere il potere in mano a chi ce l’ha già: gli uomini.

Persino in un ambito genericamente considerato unisex – quello del design – le donne sono tutt’al più relegate ai Materiali e ai Colori, nei casi migliori agli Interni. Non c’è nessuna donna che abbia preso in mano una matita negli ultimi venti anni e disegnato gli esterni di un’auto? Possibile? Sono tutte pessime designer ma con un ottimo occhio per i colori e i tessuti? Cosa sono, sarte?

Do you know what it feels like in this world for a girl?

C’è un video potentissimo di Guy Ritchie per Madonna che usa proprio il mondo delle auto come metafora femminista. In un mondo popolato da uomini, Madonna accompagna un’anziana nel suo ultimo viaggio: adrenalinico, provocatore, violento. Un video che usa gli archetipi maschili per raccontare una storia di liberazione, più che di vendetta. Guardatelo.

Nei miei anni di vita nel mondo automotive, ho visto e sentito di tutto: PR professioniste trattate dai giornalisti come cameriere, quando andava bene; quando andava male, costrette a dribblare tentativi di approccio maldestri fatti da uomini privi di fascino e di senso del ridicolo, oltre che rispettosi del contesto (lavorativo); donne messe da parte per favorire colleghi maschi meno preparati ma più camerati; redarguite, se con la loro preparazione mettevano in cattiva luce il maschio al potere. Testa bassa e spirito servizievole: la richiesta è questa.

Nell’automotive, le donne sono considerate come figurine di contorno, necessaria bella presenza, a cui è richiesto di vestirsi bene, di essere sexy ma non troppo (l’immaginario è sempre quello della pornosegretaria, ovviamente: una donna integerrima che si lascia sedurre dall’uomo di valore), di stare al loro posto, di non allargarsi. Eye candy, direbbero gli inglesi. Belle che non ballino troppo. Una versione ripulita e presentabile del calendario con le donne nude nelle officine, in pratica.

E non è un caso che alle donne il mondo delle auto proprio non sappia parlare, né con il prodotto né con il marketing. Che le releghi sempre a figura di madre scarrozzatrice o di figurina elegante che compra un’auto vecchia di dieci anni solo perché è firmata Alberta Ferretti oggi, Monella Vagabonda domani, D&G dopodomani. Che usi loro per raccontare quanto un’auto sia facile da guidare e gli uomini per raccontare quanto un’auto sia divertente da guidare.

Una visione rigida e schematica dei ruoli di genere che nel 2022 non dovrebbe avere più senso, e invece eccola qui. Inamovibile. Un segreto di pulcinella, per altro, di cui si parla pochissimo, perché a parlarne dovrebbero essere altri maschi (giornalisti) che sono parte stessa – e anche grossa – del problema.

Almeno questo velo lo vogliamo squarciare? Credo sia arrivato il momento di farlo.