Per trovare il primo numero di Eccetera, magazine lifestyle de Linkiesta (co)diretto dalla sempre bravissima Valentina Ardia, questa mattina mi sono messo di buona lena e ho girato quattro edicole – di cui una considerata “la più fornita della città” – e due librerie, una Ubik e una Mondadori.
Non sono stato fortunato.
Non è la prima volta che mi succede una cosa del genere. Anche de l’Essenziale, il settimanale di informazione de Internazionale, ho fatto molta fatica a trovare una copia. Anzi: il primo numero qui non è mai arrivato. I successivi, invece, arrivano con 3 giorni pieni di ritardo rispetto a quanto dichiarato: il martedì invece del sabato, una cosa non da poco per un settimanale di cronaca.
Da quando mi sono trasferito a Cagliari – non uno sperduto paesino nell’entroterra barbaricino: CAGLIARI, capoluogo di una delle venti Regioni d’Italia – mi sono scornato con uno dei grandi problemi dell’Isola: l’accesso ai prodotti editoriali disponibili nel resto della Penisola. Che qui nell’Isola arrivano in gran ritardo, col contagocce o – più di frequente – non sono mai sbarcati.
(Lo stesso citare Linkiesta – o il suo Magazine cartaceo – qui ottiene come riscontro lo stesso sguardo pieno di stupore delle prime proiezioni di treni in movimento. Mi farei un paio di domande fossi in loro.)
È un problema. Più grave in Sardegna, certo, ma comune a tante altre zone del Sud d’Italia (praticamente tutte, in realtà). Ci siamo talmente affannati a discutere della questione del #digitaldivide dal finire con il dimenticare un problema ben più radicato e mai risolto: il #culturaldivide.
La cultura (editoriale di sicuro, ma non solo) in Italia è appannaggio solo di pochissime città. È Milano-centrica. Arriva a Roma, Firenze, Bologna, Torino. Quando è più ardita si spinge fine a Napoli, ma non oltre. E gli altri territori restano a guardare.
Dice la pagina dello shop de Linkiesta dedicato al magazine: “Eccetera si trova nelle migliori edicole di Milano, Roma, Torino, Firenze, Bologna e altre città di vacanza”.
“Altre città di vacanza”.
Perché la cultura non è di chi abita quei territori. Rimane sempre dei Milanesi, che tutt’al più l’esportano e la consumano fra un mojito e l’altro.